Altre responsabilità 


Accanto alla madre ci sono spesso altre persone che hanno la responsabilità dell’aborto. Prima viene il padre, quando spinge la donna all’aborto o quando la lascia sola di fronte ai problemi della gravidanza: in tale modo la famiglia viene ferita mortalmente e profanata come comunità di amore, chiamata ad essere santuario della vita.

Ci sono le sollecitazioni di parenti e amici, cosicché la donna è sottoposta a pressioni talmente forti da sentirsi psicologicamente costretta a cedere all’aborto.

Responsabili sono pure i medici e il personale sanitario, quando mettono a servizio della morte la competenza acquisita per promuovere la vita.

La responsabilità è anche dei legislatori che hanno promosso e approvato leggi abortive e degli amministratori delle strutture sanitarie utilizzate per praticare gli aborti, nella misura in cui la cosa dipende da loro.

La responsabilità si allarga a coloro che hanno favorito il diffondersi di una mentalità di permissivismo sessuale e disistima della maternità, che non hanno promosso politiche familiari e sociali a sostegno delle famiglie, soprattutto di quelle numerose o con difficoltà economiche ed educative, alle istituzioni internazionali, fondazioni e associazioni che si battono con ogni mezzo per la legalizzazione e la diffusione dell’aborto nel mondo.

In tal modo l’aborto va oltre la responsabilità delle singole persone e assume una dimensione sociale: è una ferita gravissima fatta alla società e alla sua cultura da coloro che dovrebbero esserne i costruttori e i difensori. E’ una enorme minaccia contro la vita, non solo di singoli individui, ma anche dell’intera civiltà. Nella società così organizzata e diretta vi è una struttura di peccato contro la vita umana non ancora nata.

 

Stai leggendo l'articolo: "L'aborto non è un diritto ma è un delitto"

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