Introduzione alla 194

 

Prima del 1975 l’aborto in Italia non era consentito, e anzi veniva sanzionato dalle norme contenute nel titolo X del libro II del codice penale, tuttavia, la giurisprudenza applicava con una certa frequenza come causa di giustificazione lo "stato di necessità", previsto dall’articolo 54 dello stesso codice, ritenendo non punibile l’intervento abortivo reso necessario per salvare la vita della gestante .

Con la legge n.194/1978 la situazione muta però notevolmente. Questa legge , recante Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza, indica la pratica abortiva con l’eufemismo "interruzione volontaria della gravidanza", quindi, suddivide in modo del tutto arbitrario la vita infrauterina in tre periodi, fissando per ciascuno di essi una differente disciplina e avendo come esclusivo criterio di riferimento i rischi per la salute della donna.

Il primo periodo coincide con i primi novanta giorni della gestazione,
 nel corso dei quali è di fatto concesso l’aborto senza limiti .
  Ogni ragione dalle condizioni economiche, sociali e familiari alle circostanze in cui e’ avvenuto il concepimento alle previsioni di anomalie o malformazioni del nascituro legittima il ricorso all’aborto.

Il secondo periodo è quello compreso fra
 il quarto mese di gravidanza e la possibilità di vita autonoma del feto,
 in considerazione della dipendenza di quest’ultima
 dalle attrezzature mediche: in tale arco di tempo 
l’aborto può praticarsi per motivi terapeutici in senso lato, e perciò, anche con riferimento alla salute psichica della donna, ed eugenetici, con riferimento a timori di malattie del nascituro.

Infine il terzo periodo è quello compreso fra il momento della vitalità del nascituro e la nascita: l’aborto è praticabile solo se è in pericolo la vita della donna.

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