Verità e pratiche fondamentali della religione ebraica
Fra le verità di fede e le prescrizioni dell’ebraismo al tempo
di Gesù, vi erano la circoncisione e l'osservanza del sabato.
La circoncisione era il segno impresso nella carne dell’appar-
tenenza alla nazione giudaica, alla discendenza di Abramo, ma
soprattutto all’alleanza da lui stabilita con Dio. L'incirconciso era
agli occhi di un ebreo un essere umano inferiore, addirittura
impuro, da disprezzare, tanto che l'appellativo veniva usato
quando si voleva offendere un ebreo.
Il bambino veniva circonciso l'ottavo giorno dalla nascita.
L'operazione poteva essere compiuta da qualsiasi ebreo, solitamente
dal padre nella sua casa. In questa occasione si imponeva il
nome al bambino.
L'osservanza del sabato era oggetto di molte prescrizioni
rabbiniche. Il precetto del sabato richiedeva l'astensione da1
qualsiasi lavoro. Tale rigore non si conciliava con le esigenze
della vita individuale e sociale, e di qui le numerose norme rab-
biniche che cercavano di salvaguardare la legge, senza escludere
le urgenze pratiche. I rabbini elencarono 39 gruppi di azioni con
i quali si violava la legge del sabato. Il cammino permesso nel
giorno di sabato non doveva superare i 900 metri.
Il sabato giudaico cominciava al tramonto del venerdì e
durava fino al tramonto del sabato. Il pomeriggio del venerdì era
chiamato "vigilia del sabato" o "parasceve", cioè preparazione,
perché in quel pomeriggio si preparava l'occorrente per il sabato,
a cominciare dai cibi, perché una delle azioni proibite di sabato
era quella di accendere il fuoco.
Il rigore del riposo sabbatico aveva procurato una legislazione
soffocante, tuttavia il sabato per gli ebrei era un giorno di festa,
di gioia. Il Talmud prescrive di riservare a questo giorno i cibi
migliori, le vesti usate nei giorni festivi. Buona parte del tempo
veniva impiegata nella preghiera fatta nella sinagoga o nella
propria casa, e nelle letture di carattere religioso.
Inoltre, molte altre leggi guidavano il giorno e la notte del-
l'ebreo; erano le leggi sulla purità e l'impurità. Per l'ebreo anche
solo il contatto fisico con oggetti che erano effetto di peccato o in
qualche modo si riferivano al peccato, produceva una macchia
morale. Tali prescrizioni non erano suggerite soltanto da motivi
igienici, lo spirito che le dettava era religioso e chi non le
osservava violava precetti sacri.
Queste prescrizioni andavano dalla lavanda delle mani alle
varie specie di cibi impuri e puri, e alle molte altre azioni della
vita quotidiana.
Nella maggior parte dei casi non si andava più in là di un
puro formalismo.
L'ebreo, oltre il sabato, festa settimanale, osservava altre
feste, di cui le principali erano la Pasqua, la Pentecoste e i Taber-
nacoli. Queste feste erano chiamate feste di pellegrinaggio, perché
ogni israelita maschio giunto a una certa età era obbligato a
recarsi al tempio di Gerusalemme.
La solennità della Pasqua si celebrava nel mese chiamato
Nisan, andava dalla metà di marzo alla metà di aprile.
La Pasqua iniziava la sera del giorno 14 Nisan e si riconnetteva
con la festa degli Azzimi, che si celebrava nei sette giorni seguenti.
Questi otto giorni (14-21) erano chiamati sia Pasqua, sia Azzimi.
Fin dal giorno 14 Nisan in tutte le case ebraiche veniva tolto il
pane fermentato e si mangiava il pane azzimo. Nel pomeriggio
del 14 Nisan venivano immolati gli agnelli.
L'immolazione veniva fatta nell'atrio interno del tempio. Il
sangue della vittima era raccolto e consegnato ai sacerdoti, i
quali lo spargevano presso l'altare degli olocausti. Subito dopo
l'immolazione, nell’atrio stesso del tempio, la vittima veniva
spellata e privata di alcune parti interne, e dopo questa preparazione
era riportata nelle famiglie.
L'agnello immolato era arrostito la sera per il banchetto pasquale,
che iniziava dopo il tramonto del sole e continuava fino a mezzanotte,
a volte anche oltre. Alla mensa partecipavano non meno di dieci
persone e non più di venti, che prendevano posto su bassi divani
sdraiandovisi per lungo in maniera concentrica alla tavola delle vi-
vande. Era prescritto che vi circolassero quattro coppe di vino. Si
cominciava mescendo la prima coppa e recitando la preghiera, con
la quale si benediceva la giornata festiva e poi il vino; quindi si
recavano in tavola il pane azzimo, le erbe e una salsa nella quale si
intingevano le erbe; dopo si portava l'agnello arrostito.
Si mesceva la seconda coppa, e il capo famiglia, dopo una
domanda del figlio, faceva un breve discorso per spiegare il si-
gnificato della festa, ricordando i benefici di Dio verso Israele e
la liberazione dall'Egitto. Si consumava l'agnello insieme con le
erbe, mentre circolava la seconda coppa. Poi si recitava la prima
parte dell'Hallel, un inno costituito dai salmi 113, 118; dopo si re-
citava una benedizione con la quale cominciava il vero banchetto,
preceduto dalla lavanda delle mani e costituito da varie vivande.
Si mesceva la terza coppa e si pronunciava una preghiera di rin-
graziamento, poi si recitava la seconda parte dell'Hallel, e infine
si mesceva la quarta coppa. Questo è il rito della Pasqua ebraica.
La festa successiva alla Pasqua era quella detta delle Sette
Settimane, o Pentecoste. La parola Pentecoste, ossia cinquantesima
giornata, indica il tempo che trascorre tra la Pentecoste e la
Pasqua. La festa durava un giorno solo in cui si offrivano al
tempio i pani fatti con il frumento della mietitura appena
compiuta, insieme ad altri sacrifici; non era una festa popolare,
ma molto frequentata dagli ebrei che venivano da varie nazioni
della diaspora.
Sei mesi dopo la Pasqua veniva la festa detta dei Tabernacoli
o delle Capanne, che cadeva il 15 del mese Tishri, tra la fine di
settembre e l'inizio di ottobre e durava otto giorni.
Era una festa gaia e ricordava la dimora degli ebrei nel deserto
e insieme celebrava la fine della vendemmia e delle raccolte
agricole. Il popolo sulle piazze e sulle terrazze costruiva con rami
verdi capanne e vi si intratteneva, da qui il nome della festa.
Si andava al tempio portando con la mano destra un fascetto
composto con palme, mirto e salice e con la sinistra un frutto di
cedro. Nella prima notte della festa il tempio era illuminato e al
mattino dei primi sette giorni un sacerdote spandeva sull’altare
dell’acqua attinta alla fonte di Siloe.
Il 10 del mese Tishri veniva celebrata la solennità dell'Espia-
zione o del Kippur, in cui era obbligatorio il digiuno e il riposo. Il
sommo sacerdote, in quel solo giorno, entrava nel "santo dei
santi" del tempio, e compiva la liturgia del capro espiatorio
(Levitico, 16).
La festa delle Encenie o della Dedicazione, si celebrava il 25
del mese di Kislew, alla fine di dicembre, durava otto giorni e ri-
cordava la riconsacrazione del tempio fatta da Giuda Maccabeo
nel 164 Avanti Cristo; si chiamava anche "festa dei lumi", per le
grandi luminarie che vi si accendevano.
La festa dei "Purim=sorti" si celebrava il 14 e 15 del mese di
Adar, febbraio-marzo, ricordava la liberazione degli ebrei dallo
sterminio voluto da Aman. Nel libro di Ester leggiamo: "Il primo
mese, cioè il mese di Nisan, il decimosecondo anno del re
Assuero, si gettò il pur, cioè la sorte, alla presenza di Aman, per
la scelta del giorno e del mese. La sorte cadde sul tredici del de-
cimosecondo mese, chiamato Adar. Allora Aman disse al re
Assuero: vi è un popolo segregato e anche disseminato fra i
popoli di tutte le province del tuo regno, le cui leggi sono diverse
da quelle di ogni altro popolo e che non osserva le leggi del re ...
si ordini che sia distrutto" (3,7-9).
L'intervento della regina Ester salvò il popolo ebreo e Aman
fu impiccato.
Il digiuno era obbligatorio solo nella festa del Kippur. Ma si
facevano anche altri digiuni pubblici o privati.
Molti digiunavano spontaneamente negli anniversari di ca-
lamità o disastri del passato, ad esempio della distruzione di Ge-
rusalemme fatta da Nabuchodonosor nel 586 avanti Cristo.
Digiuni pubblici erano ordinati dal gran Sinedrio in occasione di
epidemie, siccità, ecc. Frequenti erano i digiuni privati fatti per
devozione.
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