Marco
Il secondo Vangelo è attribuito a Marco.
Gli Atti degli Apostoli parlano più volte di un Giovanni
Marco, la cui madre si chiamava Maria ed aveva una casa a Ge-
rusalemme. Altrove si parla di un Giovanni (Atti, 13,5-13), e di
un Marco (Atti, 15,39); nella lettera dell’apostolo Paolo ai Colossesi
(4,10). In tutti questi casi si tratta della stessa persona. I giudei di
quel tempo prendevano spesso un nome greco-romano oltre a
quello giudaico. È certo che a questo Giovanni Marco fu attribuito
fin dall’antichità il secondo vangelo.
La casa della madre di Marco a Gerusalemme, era un luogo
dove si radunavano i cristiani della città, ivi si rifugiò Simone
Pietro quando fu liberato miracolosamente dal carcere nell'anno
44 dopo Cristo.
Marco era cugino di Barnaba e da lui e da Paolo fu condotto
ad Antiochia. Marco si staccò dai due, durante il primo viaggio
missionario di Paolo, a Perge di Panfilia, tornando a Gerusalemme.
Il distacco dispiacque a Paolo, che nel suo secondo viaggio si
rifiutò di condurre con sé Marco, mentre il cugino Barnaba desi-
derava condurlo. Allora Barnaba si staccò da Paolo, recandosi
con Marco nell'isola di Cipro sua patria.
L'atteggiamento di Paolo non ruppe definitivamente i rapporti
tra i due, e così dopo una decina d'anni, tra il 61-62, Marco era con
Paolo a Roma, e gli fu d'aiuto e di conforto mentre l'apostolo
aspettava di essere giudicato dall'imperatore Nerone. Negli anni,
tra il 63-64, Marco era a Roma a fianco di Pietro, che da Babilonia
(Roma) trasmetteva i saluti del suo figlio Marco (1 Pietro, 5, 13).
Pietro chiama Marco suo figlio; è probabile che lo abbia battezzato,
dato che Pietro aveva un particolare rapporto di amicizia con la
famiglia di Marco. La tradizione attesta la collaborazione di Marco
al ministero apostolico di Pietro e l'influsso che questa ebbe nella
composizione del suo vangelo. La testimonianza più antica e au-
torevole è data da Papia, il quale scrive: "Anche questo diceva il
Presbitero: Marco, divenuto interprete di Pietro, scrisse esattamente,
ma non già con ordinamento quanto si ricordò delle cose o pro-
nunciate o operate dal Signore. Egli, infatti, né udì il Signore né fu
al seguito di lui, bensì più tardi, come ho detto, di Pietro. Costui
secondo le necessità faceva le istruzioni, ma non quasi mirando a
fare una coordinazione dei detti del Signore, cosicché Marco non è
incorso in alcun difetto, scrivendo talune cose così come si ricordò.
Ad un solo punto egli fece attenzione, a non tralasciare nulla di
quelle cose che udì e a non mentire in nulla in esse" (Eusebio,
Historia ecclesiastica, III, 30, 15).
Questa testimonianza è più antica di quella di Papia, perché
egli riporta l'affermazione del Presbitero Giovanni. Se questo
Giovanni sia l'apostolo ed evangelista, o un’altra persona, non è
importante, quello che importa è che la testimonianza risalga al
primo secolo.
La parola "interprete" si può intendere sia come traduttore,
sia più genericamente l'interprete del pensiero, cioè un amanuense
o un segretario. Pietro, nei primi anni del suo apostolato fuori
della Palestina, conosceva poco la lingua greca e ancora meno
quella latina e quindi poté servirsi di Marco prima come traduttore
e poi come amanuense e segretario.
Lo scritto di Marco è una copia della catechesi orale di Pietro,
perciò è anche privo di "ordinamento" perché Pietro parlava se-
condo le necessità degli ascoltatori e senza volere fare una stesura
ordinata dei discorsi, delle opere compiute da Gesù.
Marco è il secondo evangelista, anteriore a Luca. La critica mo-
derna ammette che il Vangelo di Marco sia stato conosciuto e usato
da Luca e scritto dopo l'anno 55. È il più breve dei Vangeli; solo
una piccola parte del suo contenuto è originale, il resto si trova
negli altri due sinottici. Marco narra molti miracoli di Gesù, poche
parabole e pochi discorsi. La descrizione dei fatti è vivida, immediata,
la lingua greca è povera, il periodare disadorno e duro.
Pietro nelle sue catechesi orali aveva narrato con la semplice
ma potente efficacia del testimone oculare e il suo interprete
fissò nello scritto i suoi discorsi.
Pietro parlava a Roma a uditori provenienti per la maggior
parte dal paganesimo e quindi che non conoscevano la dottrina e le
tradizioni ebraiche. Nel Vangelo di Marco Gesù è presentato non
tanto come il Messia atteso dagli ebrei, quanto come il Figlio di Dio,
Signore e dominatore della natura e delle potenze demoniache.
Marco non tratta questioni dottrinali che potevano interessare
uditori giudei, come quelle sulle osservanze legali. Egli riporta
parole aramaiche pronunciate da Gesù, tradotte in greco, come
era necessario fare per ascoltatori o lettori di Roma. Nel testo di
Marco sono più frequenti che negli altri due vangeli sin ottici
espressioni che sono più latine che greche.
Marco tralascia fatti che riguardano Pietro, narrati dagli altri
sinottici, come il camminare sulle acque, la moneta trovata in
bocca al pesce e il con ferimento del primato. Il motivo è che
Pietro nelle sue catechesi non parlava di episodi che tornavano a
suo onore e il suo interprete ha fedelmente rispettato l'umiltà
dell’apostolo.
San Marco non fu discepolo di Gesù, ma non si esclude che
quando era un ragazzo l'abbia visto almeno qualche volta. Vi è un
singolare episodio della passione di Gesù, narrato solo da lui (14,
51-52). Il narratore è bene informato: sa che quel ragazzo svegliato
dal rumore notturno, non ha fatto in tempo a gettarsi addosso
neppure un mantello, e con il solo lenzuolo si è messo a seguire
Gesù arrestato dai soldati. Catturato, lascia il lenzuolo in mano ai
soldati e fugge nudo. I discepoli di Gesù erano già fuggiti, compreso
Pietro. Chi era dunque quel ragazzo unico testimone che Marco
non nomina? Forse era Marco stesso, come pensano molti.
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