Le nozze di Cana
L'evangelista Giovanni ci dice che tre giorni dopo il colloquio
con Natanaele, ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea e c'era la madre
di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.
Le nozze consistevano nell'introduzione della sposa nella
casa dello sposo, il quale circondato dagli amici andava sul far
della sera a prendere la sposa nella casa di lei. La sposa lo
attendeva circondata dalle sue amiche, munite di lampade ed ac-
clamanti al giungere dello sposo.
Dalla casa della sposa a quella dello sposo si procedeva in
corteo, a cui prendeva parte la gente del paese, con luminarie,
suoni, canti e danze. Nella casa dello sposo si teneva il pranzo,
con canti e discorsi augurali. Si bevevano vini speciali, messi in
serbo da tempo e custoditi per quella festa.
La madre di Gesù era già lì in attesa. A Cana Gesù trovò sua
madre dopo due mesi di assenza. Era stata la prima sua lunga
assenza dalla casa paterna. Essendo già morto Giuseppe, la
bottega era rimasta chiusa e Maria sola. A Cana, la madre vide
Gesù chiamato Rabbi, considerato come un Maestro e circondato
da alcuni discepoli. Da buona madre di famiglia Maria, durante
quel pranzo di nozze, ha sorvegliato insieme con le altre donne
perché tutto procedesse regolarmente. Viene a mancare in una
festa di nozze, l'elemento che suscita la gioia degli invitati, il
vino. La madre lo riferisce a Gesù senza chiedergli nulla. E Gesù
rispose: "Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la
mia ora (Giovanni 2, 3-4). Gesù pronunciò queste parole in
aramaico, e secondo questa lingua vanno interpretate. In primo
luogo la parola "donna" era un appellativo di rispetto, come la
parola "ma-donna" usata nel trecento italiano. Un figlio chiamava
di solito madre la donna che lo aveva generato, ma in circostanze
particolari poteva chiamarla per maggiore riguardo donna. Gesù
chiama dalla croce sua madre donna (Giovanni 19, 26).
L'espressione "che ho da fare con te", alla lettera si traduce: che
cosa a me e a te? È un semitismo frequente nell’Antico Testamento
(Giudici 11, 12; 2 Samuele 16, 10) e nel Nuovo Testamento (Matteo 8, 29;
Marco l, 24) Lo si usa per respingere un intervento giudicato inopportuno.
Solo il contesto consente di precisare la sfumatura esatta.
Il significato di questa frase è precisato nell'uso molto più dalle
circostanze del discorso, dal tono della voce, dal gesto, ecc., che dal
valore delle parole. Tutte le lingue hanno tali frasi che non si
possono tradurre in un’altra lingua. Con questa risposta Gesù
obietta alla madre il fatto che la sua ora non è ancora giunta. La
madre, senza perdere tempo, dice ai servi: "Fate quello che vi dirà".
Nell’atrio di quella casa c'erano sei giare di pietra, dalla capacità
di 80-120 litri ciascuna destinate alle purificazioni rituali dei giudei
prima dei pasti e del culto in genere. Il pranzo era lungo, gli invitati
erano molti, e quindi tutta quell’acqua era stata in gran parte con-
sumata e le giare erano quasi vuote. Gesù dette ordine ai servi di
riempire le giare d'acqua e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di
nuovo: "Ora attingete e portatene al maestro di tavola". "Ed essi
gliene portarono" (Giovanni 2,8). Tutto si era svolto in pochi minuti,
prima che il direttore di mensa potesse notare la mancanza del
vino. Quando assaggiò la nuova specie di vino, stupito disse allo
sposo: "Tutti servono da principio il vino buono e, quando sono un
po' brilli, quello meno buono, tu invece hai conservato fino ad ora
il vino buono (Giovanni 2,10).
L'evangelista Giovanni, in modo conciso, annota: "Così Gesù
diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea, manifestò la sua
gloria e i suoi discepoli credettero in lui (Giovanni 2,11).
A Cana l'acqua si muta in vino, nell'ultima cena il vino nel
sangue. Il miracolo di Cana è figura del grande mistero.
La gente presente alle nozze non sospettava nemmeno che
in quella notte sarebbero avvenute cose mirabili, cariche di
significati che ancora, dopo molti secoli, non comprendiamo to-
talmente.
|