Il tributo a Cesare
I capi dei giudei volevano concludere la lotta che durava da
molto tempo, tentarono ancora una volta di screditare Gesù
davanti al popolo in modo tale che perdesse quel favore popolare
che impediva loro di uccidere Gesù. Perciò questa volta i farisei
inviarono a Gesù alcuni loro discepoli, assieme a degli erodiani,
per proporgli in pubblico, in modo che la folla ascoltasse, una
particolare questione. La presenza degli erodiani faceva pensare
che si trattasse di una questione politica, di un argomento che
Gesù aveva sempre evitato. Gli inviati si avvicinarono pieni di
rispetto, come se non avessero nulla in comune con i precedenti
interlocutori e dissero a Gesù: "Maestro, sappiamo che sei veritiero
e insegni la via di Dio secondo verità e non hai soggezione di
nessuno perché non guardi in faccia ad alcuno. Dieci dunque il
tuo parere: È lecito o no pagare il tributo a Cesare?". Il tranello è
palese. Rispondendo no, Gesù avrebbe suscitato la reazione del-
l'autorità romana, tollerante su tutto ma non su questo. La
ribellione di Giuda il galileo avvenuta trenta anni prima era stata
provocata dal censimento romano connesso al pagamento del
tributo. Se Gesù avesse risposto che era lecito, si sarebbe attirato
l'odio del popolo, perché colui che si presentava come Messia
non avrebbe mai potuto dichiarare lecito riconoscere un’autorità
politica straniera e pagarle un tributo. Disse Gesù: "Ipocriti,
perché mi tentate? Mostratemi la moneta del tributo". Ed essi gli
presentarono un denaro. Egli domandò loro: "Di chi è questa im-
magine e l'iscrizione?". Gli risposero: "Di Cesare". Allora disse
loro: "Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio
quello che è di Dio" . A queste parole rimasero sorpresi e, lasciato lo,
se ne andarono" (Matteo 22,18-22).
Fu mostrato a Gesù un denaro romano d'argento che serviva
da moneta corrente per il pagamento delle imposte ed era stato
coniato fuori dalla Palestina perché era di metallo prezioso e
recava impressa una effigie umana, mentre le monete coniate in
territorio giudaico erano solo di bronzo e non avevano alcuna
effigie umana secondo la legge giudaica.
La conclusione di Gesù era di una logica rigorosa. Per il fatto
che essi accettavano quella moneta e se ne servivano correntemente,
mostravano di accettare la sovranità di chi l'aveva battuta. E così
la questione politica era risolta senza che Gesù fosse entrato nel
campo politico, ma solo in virtù della risposta che la moneta era
di Cesare. La risposta di Gesù non è evasiva. Egli afferma la
giusta dipendenza da Dio e quindi la libertà di fronte allo stato.
Gesù non mette Dio e Cesare sullo stesso piano e tanto meno
considera le due realtà come indipendenti. Egli afferma il primato
di Dio e quindi la libertà della coscienza. Ma il primato di Dio e
la libertà della coscienza non privano lo stato dei suoi diritti. In
un contesto religioso in cui l'affermazione del primato di Dio
rischia di privare la società della sua autonomia, occorre ricordare
il date a Cesare quel che è di Cesare. Invece, in una società in cui
lo stato è una realtà idolatrica, allora il date a Dio quel che è di
Dio, afferma la libertà di coscienza e il rifiuto di ogni idolatria.
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