Il processo giudaico
Il gruppo delle guardie, con Gesù, andò alla casa del sommo
sacerdote Anna. Arrivati lì, la scorta si divise: le guardie del
Sinedrio rimasero nella casa, mentre i soldati della coorte romana
si ritirarono nel loro quartiere sulla fortezza Antonia.
Gesù è stato condotto prima da Anna, perché pure non essendo in
carica, era molto potente e aveva suggerito il modo di catturare Gesù.
Anna lo sottopose ad un interrogatorio, che non fu una in-
quisizione ufficiale, ma un orientamento giuridico della questione,
in attesa che giudici e testimoni ufficiali fossero convocati in
quelle ore notturne e intervenissero personalmente.
Anna interroga Gesù riguardo ai suoi discepoli e alla sua
dottrina.
Gesù rispose: "Io ho parlato al mondo apertamente: ho
sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i giudei
si riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto. Perché
interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto
loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto" (Giovanni 18, 20-21).
Gesù rispondeva in maniera conforme al diritto delle genti.
Presso tutti i popoli, compreso l'ebraico, un accusato non rendeva
testimonianza riguardo a se stesso; testimonianze valide erano
solo quelle rese da testimoni esterni degni di fede, e Gesù con la
sua risposta rinvia il giudice a tali testimoni. Egli non ha fondato
società segrete, ha parlato in luoghi pubblici e a tutti quelli che
volevano ascoltarlo, perciò costoro potevano rendere testimonianza
del suo insegnamento.
La risposta di Gesù provocò in Anna un gesto di dispetto,
perché sperava che l'imputato con la sua risposta fornisse
argomenti per la sua accusa ufficiale.
Tale gesto fu notato da uno dei presenti, e trovandosi vicino
a Gesù, gli dette uno schiaffo dicendo: "Così rispondi al sommo
sacerdote?". Gli rispose Gesù: "Se ho parlato male, dimostrami
dov'è il male, ma se ho parlato bene perché mi percuoti? "
(Giovanni 18, 22-23).
Allora Anna lo mandò legato a Caifa sommo sacerdote. Nel
frattempo a casa di Caifa si erano radunati vari membri del
Sinedrio, e quando furono in numero legale sottoposero Gesù ad
un regolare interrogatorio.
La seduta del Sinedrio in funzione di tribunale fu tenuta sul
far del mattino.
Al tempo di Gesù, in mancanza del codice, vigevano solo
norme tratte dalla consuetudine. Allora esisteva la norma antica
(Numeri 35, 30; Deuteronomio 17, 6; 19, 15) secondo la quale
nessuno poteva essere condannato se non in base a testimonianze
esterne, e mai di una sola, ma almeno di due o tre.
Essendo stati preparati nella seduta notturna gli argomenti
principali per la seduta del mattino, questa fu tenuta appena si
fece giorno (Luca 22,66). Nella seduta del mattino intervennero i
membri di tutti i tre gruppi del Sinedrio: gli anziani del popolo, i
sommi sacerdoti, e gli scribi (Luca 22,66).
Si cominciò a interrogare molti testimoni, i quali però erano
falsi e le loro testimonianze non erano concordi (Marco 14, 56).
Con tali deposizioni il processo non andava avanti e non si sal-
vavano neppure le apparenze della legalità. Alla fine si presentarono
due testimoni che sembravano concordi: il numero legale minimo
c'era e pareva vi fosse anche la concordia. Costoro deposero che
Gesù aveva detto le seguenti parole: "Posso distruggere il tempio
di Dio e ricostruirlo in tre giorni (Matteo 26,61); oppure secondo
l'altra relazione: lo distruggerò questo tempio fatto da mani
d'uomo e in tre giorni ne edificherò un altro non fatto da mani
d'uomo" (Marco 14, 58). Ma anche questa testimonianza non
risultò concorde nei suoi particolari.
La testimonianza si riferiva alle parole pronunciate da Gesù
quando cacciò i mercanti dal tempio; quelle parole si riferivano
non al tempio di Gerusalemme, ma al corpo di Gesù. Tuttavia,
Gesù non aveva manifestato la volontà di demolire il tempio, ma
aveva sfidato i suoi avversari a demolirlo. Dunque egli sarebbe
stato il ricostruttore del tempio, e ciò non poteva essere un
motivo di accusa. I suoi nemici potevano dire che era un sognatore,
non un bestemmiatore. La doppia testimonianza era ugualmente
importante per quei giudici. Essa poteva valere come prova che
Gesù aveva profetizzato la distruzione del tempio. I giudei del
tempo di Gesù, quando si trattava del tempio materiale non ca-
pivano più niente, diventavano furiosi. Essi si comportavano
come i giudei del tempo del profeta Geremia, sei secoli prima, i
quali giudicarono il profeta degno di morte perché aveva predetto
che il tempio sarebbe stato distrutto (Geremia, 4).
" Allora il sommo sacerdote, levatosi in mezzo all’assemblea,
interrogò Gesù dicendo: Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano
costoro contro di te? Ma egli taceva e non rispondeva nulla. Di
nuovo il sommo sacerdote lo interrogò dicendogli: Sei tu il
Cristo, il Figlio di Dio benedetto? Gesù rispose: Io lo sono! E
vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla destra della Potenza e
venire sulle nubi del cielo" (Marco 14, 60-62).
I membri del Sinedrio, appena udite le parole di Gesù,
insorsero dicendo: "Tu dunque sei il Figlio di Dio?" (Luca 22,70).
La risposta di Gesù è stata chiara: lo sono ciò che voi dite, cioè il
Figlio di Dio. "Il sommo sacerdote, stracciandosi le vesti, disse:
Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Avete udito la bestemmia;
che ve ne pare? Tutti sentenziarono che era reo di morte.
Allora alcuni cominciarono a sputargli addosso, a coprirgli il
volto, a schiaffeggiarlo e a dirgli: Indovina. I servi intanto lo per-
cuotevano" (Marco 14,63-65).
La bestemmia, secondo i capi dei giudei, sta nel fatto che
Gesù si è messo sullo stesso piano di Dio.
Il gesto di stracciarsi le vesti, le tuniche, perché le persone di
rango elevato ne portavano due, consisteva in un piccolo strappo
della parte superiore delle vesti: era previsto dal rituale forense
per manifestare indignazione.
L'interrogatorio del sommo sacerdote è stato del tutto illegale.
Fino allora era mancata la prova testimoniale e perciò si è voluto
porre l'imputato testimone contro se stesso. In tal modo Gesù
non è un imputato responsabile di colpe passate, ma è un
innocente arrestato per essere provocato a bestemmiare. Inoltre,
l'affermazione di Gesù poteva essere giudicata falsa, fatta da un
allucinato, esaltato, non una bestemmia. Così il processo giudaico
era terminato e la sentenza era stata data: Gesù fu giudicato reo
di morte perché aveva bestemmiato. Il sommo sacerdote ottenne
due risultati: per la sua attribuzione di Messia d'Israele, Gesù
avrebbe dovuto rispondere in sede politica davanti al procuratore
romano; per la risposta che egli era Figlio di Dio per natura, fu
condannato dal Sinedrio alla pena capitale.
Dopo la seduta notturna, Gesù fu consegnato alle guardie
del Sinedrio, perché lo custodissero in attesa della seduta del
mattino. Attraverso l'atrio della casa comune di Anna e Caifa,
Gesù fu condotto in un oscuro sotterraneo. Là, per alcune ore fu
schiaffeggiato e gli fu sputato in faccia, gli furono rivolti insulti
d'ogni genere.
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