Il buon pastore Gesù ricorre ad una parabola presa dal mondo palestinese e
paragona la sua attività a quella di un buon pastore e la Chiesa
da lui fondata ad un ovile di pecore.
L'ovile in Palestina era un terreno recintato da un piccolo
muro, nel quale, alla sera, venivano condotte le pecore anche di
più greggi, che durante il giorno avevano pascolato nei dintorni.
Una porta bassa e stretta aperta nel piccolo muro permetteva alle
pecore di entrare e uscire ad una ad una, per essere contate più
facilmente.
Un solo pastore faceva la guardia all’ovile nella notte, per di-
fendere le pecore dai ladri e dalle bestie selvatiche. All’alba,
quando venivano gli altri pastori a prendere il loro gregge, il
pastore che aveva fatto la guardia apriva loro la piccola porta. Il
pastore appena arrivato dava il suo grido particolare e le sue
pecore si affollavano all'uscio e uscivano ad una ad una. Le altre
pecore aspettavano fino a quando udivano il grido del loro
pastore e uscivano solo quando sentivano quella voce, che le
avrebbe guidate tutto il giorno. Quella piccola porta era il punto
più delicato dell’ovile. Chi non passava attraverso di essa, ma
scavalcava il muro era un ladro o una bestia selvatica. Perciò
disse Gesù: "In verità, in verità vi dico: Chi non entra nel recinto
delle pecore per la porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro
e un brigante. Chi invece entra per la porta è il pastore. Il
guardiano gli apre la porta e le pecore ascoltano la sua voce. Egli
chiama le sue pecore una per una e le conduce fuori. E quando
ha condotto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a loro, e
le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce. Un estraneo
invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non
conoscono la voce degli estranei. Questa similitudine disse Gesù,
ma essi non capirono cosa significava ciò che diceva loro. Allora
Gesù disse loro di nuovo: In verità, in verità vi dico: io sono la
porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me,
sono ladri briganti, ma le pecore non li hanno ascoltati. lo sono
la porta: se uno entra attraverso di me sarà salvo; entrerà e uscirà
e troverà pascolo.
Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere;
io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza.
lo sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore.
Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non
appartengono ,vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e
il lupo l rapi ce e le disperde; egli è un mercenario e non gli
importa delle pecore. lo sono il buon pastore, conosco le mie
pecore l mi pecore conoscono me, come il Padre conosce me e
io conosco il Padre, e offro la vita per le pecore. E ho altre pecore
che non sono di quest' ovile; anche queste io devo condurre;
ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo
pastore. Per questo il Padre mi ama, perché io offro la mia vita,
per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da
me stesso, perché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla
di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre mio.
Sorse di nuovo dissenso tra i giudei per queste parole. Molti
di essi dicevano: Ha un demonio ed è fuori di sé, perché lo state
ad ascoltare? Altri invece dicevano: Queste parole non sono di
un indemoniato; può forse un demonio aprire gli occhi dei
ciechi? (Giovanni 10,1-21).
L'immagine del pastore, con la quale Gesù presenta la sua
missione, ha una lunga storia. Il re nell’antico Oriente si presenta
come pastore investito da Dio e l'atto del pascere è un'immagine
del suo compito di governare.
Nell’Antico Testamento Dio appare come il pastore d'Israele
e ciò comporta un messaggio di consolazione e di fiducia, so-
prattutto nel momento del pericolo e nelle difficoltà, come si
vede nel Salmo 23: "Il Signore è il mio pastore: non manco di
nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi
conduce. Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino, per
amore del suo nome. Se dovessi camminare in una valle oscura,
non temerei alcun male, perché tu sei con me" (1-4).
L'immagine di Dio pastore è sviluppata dal profeta Ezechiele.
"Dice il Signore Dio: Guai ai pastori di Israele che pascono se
stessi! I pastori non dovrebbero forse pascere il gregge? Vi nutrite
di latte, vi rivestite di lana, ammazzate le pecore più grasse, ma
non pascolate il gregge. Non avete reso la forza alle pecore
deboli, non avete curato le inferme, non avete fasciato quelle
ferite, non avete riportato le disperse. Non siete andati in cerca
delle smarrite, ma le avete guidate con crudeltà e violenza. Per
colpa del pastore si sono disperse e sono preda di tutte le bestie
selvatiche: sono sbandate. Vanno errando tutte le mie pecore in
tutto il paese e nessuno va in cerca di loro e se ne cura ... Dice il
Signore Dio: Eccomi contro i pastori: chiederò loro conto del mio
gregge e non li lascerò più pascolare il mio gregge, così i pastori
non pasceranno più se stessi, ma strapperò loro di bocca le mie
pecore e non saranno più il loro pasto. Perché dice il Signore Dio:
Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura ... Le ritirerò
dai popoli e le radunerò da tutte le regioni. Le ricondurrò nella
loro terra . .Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le
farò riposare ... Andrò in cerca della pecora perduta e condurrò
nell’ovile quella smarrita; pascerò quella ferita e curerò quella
malata, avrò cura della grassa e della forte: le pascerò con
giustizia" (34,2 -6, 10-11, 13, 15-16).
Il testo di Ezechiele è una profezia che denuncia la condotta
dei re e dei capi del popolo ebraico del suo tempo, e dei capi
religiosi del tempo di Gesù e annuncia anche la vita e le opere
del Messia pastore.
Gesù ha raccontato la parabola delle 99 pecore rimaste
nell’ovile e di quella smarrita, ricercata dal pastore, il quale
trovatola, tutto contento se la mise sulle spalle e la portò a casa,
proprio come risposta ai farisei e agli scribi, i quali mormoravano
perché andava con i peccatori e mangiava con loro. Gesù cammina
e opera nella linea dei profeti, ed attua quello che secoli prima
della sua venuta hanno detto di lui.
L'evangelista Matteo racconta che dopo l'ultima cena, sulla
via verso il monte degli Ulivi, Gesù dice ai discepoli che stava
per avverarsi ciò che era stato predetto dal profeta Zaccaria:
"Percuoterò il pastore e verranno disperse le pecore del gregge"
(Matteo 26, 31).
I profeti d'Israele intravedono il redentore sofferente, il
pastore che diventa agnello.
L'evangelista Giovanni conclude il racconto della crocifissione
del Signore con il riferimento al profeta Zaccaria 12,10: "Volgeranno
lo sguardo a colui che hanno trafitto" (Giovanni 19, 37).
Gesù indica quali sono i veri pastori del suo gregge, quelli che
entrano attraverso Gesù stesso che è la porta. Nell'apostolo Pietro,
chiamato a compiere l'ufficio pastorale, noi vediamo come si attua
l'entrare attraverso Gesù che è la porta. Il Signore dice a Pietro tre
volte: "Pasci i miei agnelli, le mie pecorelle" (Giovanni 21, 15-17).
Inoltre, per tre volte Gesù domanda a Pietro: "Simone di
Giovanni, mi ami?" È una chiamata personale. L'apostolo viene
chiamato con il suo nome Simone e poi interrogato sull’amore
che lo fa diventare un tutt'uno con Gesù. Così attraverso Gesù
arriva alle pecore, che non considera proprie, ma di Gesù e le
pecore ascoltando la voce di Simone ascoltano quella di Gesù.
L'interpretazione che Gesù dà della similitudine fa risaltare
la propria persona e il proprio ruolo rispetto a quello dei capi
giudei. Gesù costruisce una nuova realtà, in opposizione a quella
delle autorità passate e presenti del popolo ebreo. Questi capi
hanno esercitato l'autorità a proprio tornaconto e in modo violento
sul popolo, che non li seguiva liberamente, li temeva soltanto.
Con Gesù vi è la vita divina: entrare e uscire è binomio di
pienezza, di vita sovrabbondante.
Ma che cos'è la vita? Dove la troviamo? Gesù promette di
condurre le pecore alle sorgenti della vita. L'uomo ha bisogno di
Dio che gli si avvicini e gli spieghi il significato della vita. Gesù
come Verbo incarnato, è non solo il pastore, ma anche il nutrimento,
il vero pascolo: dona la vita dando se stesso, lui che è la vita.
L'offerta della vita per le pecore è centrale nel discorso del
pastore, e non come atto di violenza che colga Gesù di sorpresa,
ma come offerta spontanea di se stesso. Gesù trasforma la croci-
fissione in un atto di offerta volontaria per gli altri.
Gesù presenta, in un confronto polemico con i capi giudei, la
figura del pastore e quella del mercenario. Gesù si autorivela
come il pastore vero, esemplare in quanto dona la propria vita a
favore di tutti gli uomini.
Il mercenario, invece, al quale sta a cuore per prima cosa la
sua vita, di fronte al proprio pericolo e a quello delle pecore,
sceglie di salvare se stesso e abbandona le pecore alla morte.
Il comportamento di Gesù si esprime in un reciproco rapporto
di conoscenza, di amore e di alleanza che ha l'origine e il modello
in quello del Padre suo.
Questo fondamento permette non solo la gratuità del sacrificio
di sé, ma anche di interessarsi e guidare i popoli non ebrei: è la
verità cristiana della salvezza universale. Ci sarà così un solo
gregge e un solo pastore.
La missione del pastore Gesù non riguarda solo le pecore di-
sperse della casa d'Israele, ma mira a riunire i figli di Dio che
erano dispersi.
I cristiani, già dal III secolo, videro nella figura bucolica del
pastore delle pecore, Cristo il buon pastore, che guida attraverso
le valli oscure della vita. Gesù è il pastore che ha attraversato la
valle della morte, e il pastore che conosce la via che conduce ai
pascoli della vita.
Per i Padri della Chiesa il pastore che si mette in cammino
per cercare la pecora smarrita è il Verbo incarnato e la pecora è
l'umanità.
Gesù con la sua incarnazione e la morte in croce porta a casa
l'umanità smarrita.
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