I Vangeli raccontano un fatto avvenuto
Il racconto della risurrezione di Gesù nei Vangeli ad una
prima lettura, dà l'impressione di essere incompleto e contrad-
dittorio. L'evangelista Matteo parla solo di una apparizione di
Gesù ai discepoli, avvenuta sopra un monte della Galilea (28, 7,
16), mentre Luca racconta l'apparizione avvenuta a Gerusalemme
nella domenica pasquale (24, 36) e lascia supporre che Gesù sia
asceso al cielo nello stesso giorno, sebbene egli, negli Atti degli
Apostoli, dica che Gesù: "Dopo la sua passione si mostrò vivo
con molte prove ed apparve ai suoi discepoli per quaranta
giorni". Tutto ciò non si contraddice. La risurrezione di Gesù
coincide con la sua ascensione al Padre, dal momento che come
risorto appartiene alla vita gloriosa anche come uomo e siede
alla destra del Padre. Che poi si mostri per quaranta giorni ai di-
scepoli, non fa alcuna difficoltà, perché ciò non gli era impedito
dalla sua nuova condizione, anzi gli era reso più facile. Proprio
perché appariva come uno che non apparteneva più al nostro
mondo, spiega la difficoltà degli apostoli e dei discepoli a rico-
noscerlo subito come colui che era vissuto con loro, che aveva
patito, era morto sulla croce ed era stato sepolto nel sepolcro di
Giuseppe d'Arimatea.
Non depone contro la verità del racconto evangelico il fatto
che secondo Marco (16, 9) e Giovanni (20, 14, ss.) Gesù appare
prima solo a Maria Maddalena, mentre secondo Matteo (28, 9)
appare anche alle Marie e secondo Luca (24, 10) alle altre donne.
Marco dice che le pie donne ritornando dal sepolcro vuoto non
dicono nulla ad alcuno perché avevano paura (16, 8) e invece
Luca dice che annunziarono tutto agli Undici e a tutti gli altri
(24,9). Marco dice che gli apostoli si mostrano scettici al racconto
dei discepoli di Emmaus (16, 13), mentre secondo Luca, lo
accolgono con gioia (24, 34).
Nella descrizione di questi particolari ci sono divergenze ap-
parenti, perché non riguardano lo stesso momento, ma tempi
diversi dello stesso fatto. Questi dati rispecchiano il disordine e
l'eccitazione di quelle prime ore del giorno della risurrezione in
cui si incrociavano le notizie più contraddittorie. Tale incoerenza
è un argomento a favore della credibilità dei racconti evangelici,
perché dimostra che non ci fu una manipolazione delle notizie e
il tentativo di armonizzarle tra loro. Tali racconti ci presentano
l'esperienza immediata di quei primi testimoni. La narrazione
presenta il suo carattere sincero dalla concisione con la quale
viene fatta e dalle stesse lacune del racconto. Se gli evangelisti
avessero inventato una favola, l'avrebbero raccontata in modo
molto diverso. Basti confrontare i Vangeli con gli scritti apocrifi,
come il Vangelo degli Ebrei, il Vangelo di Pietro. In questi scritti la
risurrezione di Gesù viene presentata come un evento che scuote
l'universo, sotto gli occhi attoniti dei romani e degli ebrei.
Agli evangelisti non interessano le singole apparizioni, ma il
fatto stesso della risurrezione. Questo è per loro la realtà nuova.
La risurrezione di Cristo cambia il senso della nostra vita e della
nostra morte.
Il fatto della risurrezione trovò un ambiente incredulo a co-
minciare dai suoi più intimi, i quali lo accettano, e non tutti, a
seguito delle ripetute apparizioni di Gesù.
La risurrezione di Gesù non è come quella di Lazzaro, cioè
un ritorno a questa vita, ma è escatologica e gloriosa. Egli ormai
appartiene all’altra vita, perciò il Cristo glorioso non può essere
conosciuto con i metodi scientifici sperimentali che la critica ra-
zionalista vuole utilizzare. È necessario fidarsi di coloro che
dicono di averlo visto risorto, ritornato in vita. Bisogna dare
ascolto alla Comunità cristiana, alla Chiesa. La fede non può
nascere né vivere solitaria, isolata, deve essere sostenuta da una
comunità. La risurrezione di Cristo è una verità inaccettabile per
la ragione, che si rinchiude nei suoi confini. Qui siamo molto al
di là dell'esperienza. Un simile annuncio è verità impenetrabile
per chi è convinto che esista solo la terra e si fida soltanto delle li-
mitate conoscenze umane. La teoria delle allucinazioni, secondo
la quale i discepoli furono vittime di impressioni soggettive, è in-
fondata. L'apostolo Pietro sapeva ben distinguere una visione o
un'estasi dall'incontro con una persona viva, concreta, come
appare negli Atti degli Apostoli (10,10). Ma quando parla della ri-
surrezione di Cristo non fa alcun riferimento a estasi o a visioni.
Egli dice: "Uomini d'Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Na-
zaret, uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di
miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso operò fra di voi per
opera sua, come voi ben sapete, Dio lo ha risuscitato dai morti e
di questo noi siamo testimoni (Atti 3,15).
Lo stesso fa San Paolo quando narra un’estasi (2 Corinti 12,
2). Invece quando riferisce ciò che gli accadde nella strada di Da-
masco, non ha il minimo dubbio di avere incontrato Gesù Cristo
(1 Corinti 9,1). Egli afferma con vigore che questo fatto è l'unico
fondamento della sua qualità di apostolo. Egli dice: "Non sono
forse un apostolo? Non ho visto io Gesù Signore nostro? (1
Corinti 9,1). San Paolo adopera il verbo greco (ofzé) nella forma
passiva, per mettere in evidenza che la visione si verificò indi-
pendentemente dalla sua volontà e non come qualcosa di sog-
gettivo.
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