Giovanni
Il quarto Vangelo viene attribuito all’apostolo Giovanni da
una antica tradizione; il primo in ordine di tempo è Papia.
Ireneo, nell’anno 180, dopo avere parlato dei tre Vangeli si-
nottici, dice: "Quindi Giovanni, il discepolo del Signore, quello
che riposò pure sul petto di lui, anch' egli pubblicò il Vangelo, di-
morando in Efeso d'Asia". Ireneo è un testimone importante
perché da ragazzo, nell’Asia Minore ha ascoltato Policarpo di
Smirne, morto nel 155, il quale a sua volta era stato discepolo di
Giovanni.
Nell'Occidente, la tradizione della Chiesa di Roma è rappre-
sentata specialmente dal "Frammento Muratoriano" che assegna
all’apostolo Giovanni il quarto Vangelo.
Clemente Alessandrino, dopo avere parlato di Marco, aggiunge
subito: "Ultimo è Giovanni: vedendo che negli evangeli precedenti
erano state manifestate le cose corporee, spinto dagli amici, divi-
namente portato dallo Spirito produsse un vangelo spirituale.
Anche in questa affermazione Clemente riporta la tradizione degli
antichi presbiteri e concorda col "Frammento Muratoriano", ritenendo
che Giovanni scrisse per esortazione di altri, e non si può dubitare
che il Giovanni di cui parla Clemente sia l'apostolo.
L'appellativo di "vangelo spirituale" contrapposto a corporeo,
risente della distinzione antropologica: corpo, anima, spirito, co-
mune nell’ellenismo e coglie nel segno nel definire l'indole del
IV Vangelo.
Già alla fine del secondo secolo, l'apostolo Giovanni era
ritenuto concordemente quale autore del IV vangelo. Nella prima
metà del secondo secolo si trovano parti di questo vangelo, sia
negli scritti di Ignazio di Antiochia, Giustino martire e altri, sia
negli scritti dei vari maestri della gnosi, quali Valentino e Marcione.
Il quarto vangelo era conosciuto in Egitto già nell’anno 130. Nel
1935 è stato pubblicato un frammento di papiro contenente tratti
di questo vangelo. Il frammento di otto centimetri contiene pochi
versetti relativi al dialogo di Gesù con Pilato. Ma la sua enorme
importanza è data dalla sua antichità. Gli specialisti in materia
sono concordi nell’attribuire il frammento alla prima metà del
Secondo secolo, all'anno 130. È da notare che il frammento, che
f va art di un codice intero, proviene dall'Egitto. Quindi nel
130 in Egitto si conosceva già questo scritto steso nell’Asia
Minore. Tolti gli anni occorsi per giungere dall'Asia Minore al-
l'Egitto, ed esservi ricopiato e diffuso, arriviamo alla data che la
tradizine attribuisce all’origine del IV vangelo, cioè alla fine del
primo secolo. È bastato quel piccolo frammento di papiro per
spazzar via tutte le interpretazioni di quegli studiosi, che
avevano detto che il IV vangelo era stato scritto nell’anno 150 e
anche nel 170. Quegli studiosi e tanti altri prima e dopo di loro,
secondo i loro pregiudizi di carattere ideologico tendevano e
tendono a spostare le date di composizione dei Vangeli per
togliere loro autorità, perché più sono lontani dalle fonti meno
sono autorevoli.
I nuovi ritrovamenti archeologici o di altro tipo, smentiscono
anche i giudizi arbitrari e tendenziosi di questi cosiddetti studiosi
ed esperti, su altri argomenti molto importanti che riguardano la
natura stessa del IV Vangelo. Essi presentano il Vangelo di
Giovanni come uno scritto allegorico, simbolico che appartiene
al mondo delle astrazioni mistiche, non rispondenti alla realtà
geografica e storica in cui avvennero quei fatti che si vorrebbero
dare come storici. Questi giudizi dipendenti da motivazioni di
carattere filosofico, oltre tutto fanno vedere che non conoscono
la Palestina e non danno alcun valore all’archeologia e alla
geografia biblica. L'autore del IV Vangelo dimostra una conoscenza
della Palestina maggiore di quella dei sinottici e scende nelle
narrazioni a particolari che non si trovano negli altri Vangeli.
Nel Vangelo di Giovanni (5, 2) si dice che a Gerusalemme,
presso la Porta delle pecore o Probatica, c'era una piscina chiamata
Bethzata e questa piscina aveva cinque portici. Era dunque re cinta
da un porticato pentagonale? Forma assai strana che ha indotto i
soliti studiosi a pensare che si deve trattare di una scena allegorica,
in cui la piscina simboleggia la fonte spirituale del giudaismo e i
cinque portici rappresentano i cinque libri della Legge. Gli scavi
moderni hanno fatto crollare la costruzione delle interpretazioni
fantastiche. Si è trovato che la piscina era re cinta da quattro portici,
formando un rettangolo lungo 120 metri e largo 60 e un quinto
portico l'attraversava in mezzo, dividendola in due bacini.
Questa precisione riguardo la topografia si trova anche nella
cronologia. Confrontando la cronologia dei Vangeli sinottici sulla
biografia di Gesù, con quella fatta dall’apostolo Giovanni si vede
che egli precisa ciò che essi hanno lasciato nel vago. Se ci si limita
ai sinottici, la vita apostolica di Gesù si limita ad un solo anno.
Giovanni, invece, ricordando le differenti pasque, estende quella
durata a più di due anni. Dall’esame attento del Vangelo di Gio-
vanni risulta che egli scrive con una conoscenza personale e
diretta dei fatti. Giovanni sa quello che hanno raccontato i
sinottici e vuole supplire a quanto i sinottici non hanno narrato.
Porto un esempio: i sinottici non hanno detto chi fosse quel di-
scepolo che con un colpo di spada mozzò l'orecchio destro al
servo del sommo sacerdote, né come si chiamasse il servo.
Giovanni precisa che il discepolo fu Simone Pietro e che il servo
si chiamava Maleo (18, 10). Soltanto Giovanni scrive che a Gesù
morto non fu praticato il crurifragio romano, ma che gli fu squar-
ciato il cuore con un colpo di lancia (19, 35). Subito dopo
aggiunge: "E chi ha visto ha testimoniato, e vera è la sua testimo-
nianza". Questo testimonio oculare è il discepolo prediletto, la
cui presenza ai piedi della croce, insieme con la madre di Gesù, è
stata ricordata dal solo Giovanni (19, 25-27).
L'autore del IV Vangelo appare un giudeo nativo anche dal
suo stile e dal suo modo di esporre. Egli impiega spesso espressioni
semitiche che traduce in greco per farsi capire dai suoi lettori,
come Rabbi, Messia, Kefa, ecc. il periodare è povero, elementare,
lontano da una costruzione complessa e vi si osserva una tendenza
a quel parallelismo di concetti che è caratteristico della forma
poetica ebraica. Ad esempio: "In principio era il Verbo, e il Verbo
era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio".
Si è voluto obiettare che il pescatore di Bethsaida non poteva
elevarsi a concetti così sublimi, come già si vede all'inizio del
Vangelo. Come poteva egli, solo fra tutti gli scrittori del Nuovo Te-
stamento, spingersi a proclamare l'identità dell'uomo Gesù non
solo con il Messia ebraico ma perfino con l'eterno Logos divino, di
cui tanto aveva ragionato l'antica filosofia greca? Come mai il
Gesù da lui tratteggiato è così diverso da quello dei sinottici, così
trascendente, così divino? Da dove provengono quei discorsi di
Gesù così ampi, ricchi di astrazioni e allegorie e quei dialoghi in
cui gli interlocutori di Gesù rispondono in modo così grossolano,
impacciato, come fanno Nicodemo e la samaritana e spesso gli
stessi discepoli? Queste e altre considerazioni sono state fatte per
concludere che lo scritto non può essere dell’apostolo Giovanni,
ma di qualche filosofo che ha trasformato il Gesù storico in un
mito religioso, impiegando concetti che provenivano dal giudaismo
alessandrino, che sentiva l'influsso del pensiero di Platone e del
sincretismo ellenistico, e delle religioni misteriche pagane.
Questa attribuzione ad uno sconosciuto è in evidente contrasto
con le più antiche testimonianze storiche e mentre ad esse non si
dà alcuna importanza, si inventa una causa sconosciuta. Allora
si può domandare: perché nelle condizioni del filosofo sconosciuto
non possa essersi trovato proprio l'apostolo Giovanni? Egli era
pescatore, ma da alcuni accenni dei Vangeli sembra che suo
padre Zebedeo fosse un agiato possessore di barche e quindi
poteva aver fatto impartire a suo figlio una certa istruzione. Col-
tivare la conoscenza su varie discipline e nello stesso tempo
praticare un mestiere era nelle abitudini palestinesi. San Paolo
lavorava on le sue mani a fare le tende e prima e dopo di lui la-
vorarono il celebre Hillel, Rabbi Aqiba che era spaccalegna,
Rabbi Joshua che era carbonaio e tanti altri.
L'ardente Giovanni, figlio del tuono (Marco 3, 17), si mise
ancora molto giovane alla sequela di Giovanni Battista e poi di
Gesù. Egli restò privo di questo ultimo maestro poco più che
ventenne. Allora, egli fedele alle usanze della sua regione, si con-
centrò nello studio della Legge, non quella insegnata nelle scuole
rabbiniche, ma in quella nuova Legge di perfezione e di amore
proclamata da Gesù e i cui ricordi, anche senza che egli scrivesse
molto, si conservavano nel suo spirito. Nell’archivio della memoria,
che era l'unico archivio che funzionava anche nelle scuole
rabbiniche di allora, Giovanni poté svolgere durante lunghi anni
un lavoro attorno a quei tesori depositativi da Gesù, il quale,
come aveva avuto per il discepolo una speciale predilezione,
poteva avergli fatto confidenze e rivelazioni. Da questo lavoro
mentale sorse la catechesi di Giovanni, diversa ma non contraria
a quella di Pietro e dei sinottici, suppletiva ed esplicativa rispetto
ad essa e meglio rispondente alle nuove condizioni esterne del
messaggio cristiano. Anche la catechesi di Giovanni, prima di
essere scritta, è stata predicata per vari decenni ai fedeli affidati
alle sue cure in Palestina, in Siria e in Asia Minore.
In questi campi di lavoro, Giovanni incontrava ostacoli di
nuovo genere; non erano più i cristiani giudaizzanti che avevano
tanto contrastato l'apostolo Paolo, ma le varie correnti della
gnosi in gran parte precristiana, che alla fine del primo secolo si
infiltravano nel cristianesimo. Bisognava opporsi a tale dottrina
e come affermano il Frammento Muratoriano e Clemente Ales-
sandrino, i discepoli lo spingono a mettere in iscritto la parte es-
senziale della sua catechesi. Giovanni, alla fine dello scritto,
mette un sigillo di autenticità con questa dichiarazione: "Questo
è il discepolo che rende testimonianza su questi fatti e li ha
scritti; e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera" (21-24).
Tutto ciò spiega l'indole speciale del Vangelo di Giovanni,
chiamato il vangelo spirituale. Esso fa risaltare la divinità di Gesù
Cristo, e questo era lo scopo principale di Giovanni. La medesima
tesi, sebbene in una forma più ridotta, si trova anche nei sinottici.
Giovanni ha accresciuto la conoscenza, le notizie, ma non le ha in-
ventate. Anzi, fra le molte cose che si sarebbero potute dire di
Gesù, egli scelse quelle parole e quei fatti che illuminavano Gesù
di luce divina, straordinariamente al di sopra della pura ragione e
capacità umana, ma non per questo meno attendibili dal punto di
vista della storicità, di quello che hanno scritto gli altri evangelisti.
È sbagliato pensare che Gesù abbia parlato sempre nello stesso
modo, sia quando si rivolgeva agli abitanti della Galilea, sia
quando discuteva con gli scribi e i farisei. Il metodo seguito mostra
una analogia con quelli dei dottori della legge di quel tempo.
Israeliti odierni, esperti nella conoscenza del Talmud, hanno
rilevato tali somiglianze, considerandole una conferma del carattere
storico dei discorsi del quarto vangelo. Gesù ha parlato in modo
diverso anche rivolgendosi ai suoi discepoli: più semplicemente
nei primi tempi, in modo più complesso in seguito, fino ad arrivare
alle altezze del discorso dell'ultima cena.
Giovanni comincia il suo vangelo affermando che Gesù è il
divino Logos fatto si uomo, e anche con questa affermazione
mostra il suo senso storico perché dice quel Logos, che è
dall’eternità presso Dio, è diventato uomo pochi anni fa. Giovanni
da vero testimone, mai disse che Gesù ha attribuito a sé il nome
di Logos; egli solo, Giovanni lo chiama con questo nome, sia n l
prologo al Vangelo, sia nella prima lettera che si può considerar
come uno scritto di accompagnamento al Vangelo (1 Giovanni 1,
1), sia nel libro dell’Apocalisse (19, 13). In tutto il Nuovo
Testamento il termine Logos si trova solo in questi tre scritti. Da
ciò si può dedurre che la parola non era usata né nella catechesi
di Pietro, né in quella di Paolo. Nella catechesi di Giovanni il
termine doveva essere abituale, perché egli lo impiega senza
alcuna spiegazione, supponendolo già noto ai suoi lettori.
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