Di fronte alle innumerevoli
e gravi minacce alla vita, presenti nel mondo contemporaneo, si
potrebbe rimanere colpiti da un senso di impotenza e dire: il bene
non potrà mai avere la forza di vincere il male!
E' questo il momento nel
quale il popolo di Dio, e in esso ciascun credente, è chiamato a
professare con umiltà e coraggio, la propria fede in Gesù Cristo
il Verbo della vita. Il Vangelo della vita non è una riflessione,
anche se originale e profonda, sulla vita umana; neppure è soltanto
un comandamento destinato a sensibilizzare la coscienza e a
provocare cambiamenti nella società; tanto meno è una promessa
illusoria di un futuro migliore. Il Vangelo della vita è una
realtà concreta e personale, perché consiste nell'annuncio della
persona stessa di Gesù.
All'apostolo Tommaso, e in
lui ad ogni uomo, Gesù si presenta con queste parole: "Io sono
la via, la verità e la vita". E' la stessa identità indicata
a Marta, la sorella di Lazzaro: "Io sono la risurrezione e la
vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede
in me, non morrà in eterno". Gesù è il Figlio che
dall'eternità riceve la vita dal Padre ed è venuto tra gli uomini
per farli partecipi di questo dono: "Io sono venuto perché
abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza".
E' allora dalla parola,
dall'azione, dalla persona stessa di Gesù che all'uomo è data la
possibilità di conoscere la verità intera circa il valore della
vita umana; è da quella fonte che gli viene la capacità di
"fare" perfettamente tale verità, ossia di assumere e
realizzare in pienezza la responsabilità di amare e servire, di
difendere e promuovere la vita umana.
In Gesù, verbo della vita,
viene annunciata e comunicata la vita divina ed eterna. Grazie a
tale annuncio e a tale dono, la vita fisica e spirituale dell'uomo,
anche nella sua fase terrena, acquista pienezza di valore e di
significato: la vita divina ed eterna è il fine a cui l'uomo che
vive in questo mondo è orientato e chiamato. Il Vangelo della vita
racchiude così quanto la stessa esperienza e ragione umana dicono
circa il valore della vita, lo accoglie, lo eleva e lo porta a
compimento.
La pienezza evangelica
dell'annuncio della vita è preparata già nell'Antico Testamento.
E' soprattutto nella vicenda dell'Esodo, che Israele scopre quanto
la sua vita sia preziosa agli occhi di Dio. Quando sembra votato
allo sterminio, il Signore gli si rivela come salvatore, capace di
assicurare un futuro a chi è senza speranza. Mentre riconosce il
valore della propria esistenza come popolo, Israele progredisce
anche nella percezione del senso e del valore della vita in quanto
tale, come si vede nei libri sapienziali.
L'esperienza del popolo di
Israele si rinnova in quelle di tutti i "poveri" che
incontrano Gesù di Nazareth. Come già il Dio amante della vita (Sap
11,26) aveva rassicurato Israele in mezzo ai pericoli, così ora il
Figlio di Dio, a quanti si sentono minacciati e impediti nella loro
esistenza, annuncia che anche la loro vita è un bene, ala quale
l'amore del Padre dà senso e valore.
Le folle di malati e di
emarginati che seguono e cercano Gesù, trovano nella sua parola e
nei suoi gesti la rivelazione di quale grande valore abbia la loro
vita e di come siano fondate le loro attese di salvezza. Così
avviene per la Chiesa che sa di essere portatrice di un messaggio di
salvezza che risuona in tutta la sua novità proprio nelle
situazioni di miseria e di povertà della vita dell'uomo.
La parola e i gesti di
Gesù e della sua Chiesa non riguardano solo chi è nella malattia,
nella sofferenza o nelle varie forme di emarginazione sociale. Più
profondamente toccano il senso stesso della vita di ogni uomo nelle
sue dimensioni morali e spirituali. Solo chi riconosce che la
propria vita è segnata dalla malattia del peccato, nell'incontro
con Gesù Salvatore può ritrovare la verità e l'autenticità della
propria esistenza.
La vita è sempre un bene.
E' questa un'intuizione o addirittura un dato di esperienza. La vita
che Dio dona all'uomo è diversa da quella di ogni altra creatura
vivente. All'uomo è donata un'altissima dignità, che ha il suo
fondamento nell'intimo legame che lo unisce al suo Creatore;
nell'uomo risplende il segno della sapienza e della potenza divina.
L'origine divina dell'uomo
spiega la sua continua insoddisfazione di fronte alle cose, alle
altre creature. Fatto da Dio, l'uomo tende naturalmente a lui.
Questa esperienza è stata bene espressa da Sant'Agostino il quale
disse: "Tu ci hai fatti per te, o Signore, e il nostro cuore è
inquieto sino a quando non riposa in te".
L'immagine di Dio torna a
risplendere in tutta la sua pienezza con l'incarnazione del Figlio
di Dio, Gesù di Nazareth.
La vita che il Figlio di
Dio è venuto a donare agli uomini non si limita alla sola
assistenza terrena, ma egli comunica la sua stessa vita. E quando
Gesù parla di vita intende parlare di questa vita, ragione della
sua venuta in terra e motivo per il quale ha creato l'uomo stesso.
E' questa la pienezza della vita di cui parla Gesù: la
deificazione, la divinizzazione dell'uomo. Dinanzi a questa inattesa
verità, che ci viene da Dio attraverso Gesù Cristo, il credente è
preso dallo stupore e da una gratitudine senza limiti. Da qui
nascono immediate conseguenze per la vita umana nella sua stessa
condizione terrena, nella quale è già germogliata ed è in
crescita la vita eterna.
L'uomo ama ancora più
intensamente la sua vita e ne fa il luogo dell'incontro e della
comunione con Dio. La vita che Gesù ci dona non svaluta la nostra
esistenza, ma la assume e la conduce al suo ultimo destino: "Io
sono la risurrezione e la vita…; chiunque vive e crede in me, non
morrà in eterno (Gv 11, 25-26).
Di questa vita Dio è
l'unico Signore: l'uomo non può disporne. Dio stesso lo ribadisce a
Noè dopo il diluvio: "Domanderò contro della vita dell'uomo
all'uomo, a ognuno di suo fratello" (Gn 9,5). E il testo
biblico sottolinea che la sacralità della vita ha il suo fondamento
in Dio e nella sua azione creatrice: "Perché a immagine di Dio
egli ha fatto l'uomo" (Gn 9,6)
La vita e la morte
dell'uomo sono nella mani di Dio, in suo potere. Ma questo potere
Dio non lo esercita come arbitrio minaccioso, bensì come cura e
sollecitudine amorosa delle sue creature. La vita dell'uomo è nelle
mani di Dio e queste sono mani amorevoli come quelle di una madre
che accoglie, nutre e si prende cura del suo bambino. Così nelle
vicende dei popoli e nella sorte degli individui Israele non vede il
frutto di una pura casualità o di un destino cieco, ma l'esito di
un disegno d'amore con il quale Dio raccoglie tutte le potenzialità
di vita e contrasta le forze di morte, che nascono dal peccato:
"Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei
viventi. Egli infatti ha creato tutto per l'esistenza". (Sap 1,
13-14)
Dalla sacralità della vita
nasce la sua inviolabilità, inscritta fin dalle origini nel cuore
dell'uomo, nella sua coscienza.
Il comandamento relativo
all'inviolabilità della vita umana risuona al centro delle
"dieci parole" nell'alleanza del Sinai (cfr. Es 34, 28).
Esso proibisce, anzitutto, l'omicidio: "Non uccidere" (Es
20, 13) . Ma proibisce anche ogni lesione inflitta all'altro. Certo,
bisogna riconoscere che nell'Antico Testamento questa sensibilità
per il valore della vita non raggiunge ancora la perfezione del
discorso della montagna, come emerge da alcuni aspetti della
legislazione allora vigente, che prevedeva pene corporali non lievi
e persino la pena di morte. Ma il messaggio complessivo è un forte
appello al rispetto dell'inviolabilità della vita fisica e
dell'integrità personale, e ha il suo vertice nel comandamento
positivo che obbliga a farsi carico del prossimo come se stessi:
"Amerai il tuo prossimo come te stesso" (Lv 19,18).
Con Gesù queste esigenze
positive acquistano vigore e slancio nuovi e si manifestano in tutta
la loro ampiezza e profondità: vanno dal prendersi cura della vita
del fratello (familiare, appartenente allo stesso popolo, straniero
che abita nella terra di Israele), al farsi carico dell'estraneo,
fino all'amare il nemico. Vertice di questo amore è la preghiera
per il nemico.
Difendere, promuovere,
amare la vita è un compito che Dio affida ad ogni uomo, chiamandolo
a partecipare alla signoria che egli ha sul mondo.
Chiamato a coltivare e
custodire il giardino del mondo (cfr. Gn 2,15), l'uomo ha una
specifica responsabilità sull'ambiente di vita, ossia sul creato
che Dio ha posto al servizio della sua dignità personale, della sua
vita: in rapporto non solo al presente, ma anche alle generazioni
future. Una certa partecipazione dell'uomo alla signoria di Dio si
manifesta anche nella specifica responsabilità che gli viene
affidata nei confronti della vita propriamente umana. E'
responsabilità che tocca il suo vertice nella donazione della vita
mediante la generazione da parte dell'uomo e della donna nel
matrimonio.
Affermando che i coniugi,
come genitori, sono collaboratori di Dio Creatore nel concepimento e
nella generazione di un nuovo essere umano non ci riferiamo solo
alle leggi della biologia; intendiamo sottolineare piuttosto che
nella paternità e maternità umane Dio stesso è presente in modo
diverso da come avviene in ogni altra generazione sulla terra.
Infatti soltanto da Dio può provenire quella "immagine e
somiglianza" che è propria dell'essere umano, così come è
avvenuto nella creazione. La generazione è la continuazione della
creazione. L'uomo e la donna uniti in matrimonio sono associati a
un'opera divina: mediante l'atto della generazione, il dono di Dio
viene accolto e una nuova vita si apre al futuro.
La vita umana viene a
trovarsi in situazione di grande precarietà quando entra nel mondo
e quando esce dal tempo per approdare all'eternità. Se nell'Antico
Testamento mancano inviti espliciti a salvaguardare la vita umana
alle sue origini, in specie la vita non ancora nata, come anche
quella vicina alla sua fine, ciò si spiega per il fatto che anche
la sola possibilità di offendere, aggredire o addirittura negare la
vita in queste condizioni, esula dalla cultura, dalla mentalità,
dalla fede religiosa del popolo ebraico, perché la sterilità è
temuta come una maledizione, mentre la prole numerosa è vista come
una benedizione.
Nella Bibbia vi è la
certezza che la vita trasmessa dai genitori ha la sua origine in
Dio, come attestano le tante pagine che con rispetto e amore parlano
del concepimento, del plasmarsi della vita nel grembo materno, della
nascita e dello stretto legame che vi è tra il momento iniziale
dell'esistenza e l'agire di Dio Creatore.
Come pensare che anche un
solo momento di questo meraviglioso processo dello sgorgare della
vita possa essere sottratto all'opera sapiente e amorosa del
Creatore e lasciato in balia dell'arbitrio dell'uomo?
Anche per quanto riguarda
gli ultimi istanti dell'esistenza, sarebbe anacronistico attenderci
dalla rivelazione biblica un espresso riferimento all'attuale
problema del rispetto delle persone anziane e malate e un'esplicita
condanna dei tentativi di anticiparne violentemente la fine: siamo
in un contesto culturale e religioso che non è intaccato da una
simile tentazione, e che anzi, per quanto riguarda l'anziano,
riconosce nella sua saggezza ed esperienza un'insostituibile
ricchezza per la famiglia e la società.
Ma nella vecchiaia, come
affrontare il declino inevitabile della vita? Come porsi di fronte
alla morte? Come della vita, così della morte l'uomo non è
padrone; egli deve affidarsi totalmente alla volontà divina, al
disegno di amore che Dio ha per ciascun uomo.
Gesù con le sue numerose
guarigioni operate, indica quanto Dio abbia a cuore anche la vita
corporale dell'uomo. Certo, la vita del corpo nella sua condizione
terrena non è un assoluto per il credente, tanto che gli può
essere richiesto di abbandonarla per un bene superiore, come dice
Gesù: "Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi
perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la
salverà" (Mc 8,35).
La vita porta in sé una
sua verità. L'uomo accogliendo il dono di Dio, deve impegnarsi a
mantenere la vita in questa verità. Se si distanzia da essa si
condanna all'infelicità, all'insignificanza, con la conseguenza di
poter diventare anche una minaccia per l'esistenza altrui, essendo
stati rotti gli argini che garantiscono il rispetto e la difesa
della vita, in ogni situazione. La verità della vita è rivelata
dal comandamento di Dio. La Parola del Signore indica concretamente
quale indirizzo la vita debba seguire per potere rispettare la
propria verità e salvaguardare la propria dignità. Non è solo il
comandamento "non uccidere" ad assicurare la protezione
della vita. Tutta intera la Legge del Signore è a servizio di tale
protezione, perché rivela quella verità nella quale la vita trova
il suo pieno significato.
I comandamenti sono dati
come via della vita: "Io pongo oggi davanti a te la vita e il
bene, la morte e il male; poiché io oggi ti comando di amare il
Signore tuo Dio, di camminare per le sue vie, di osservare i suoi
comandi, le sue leggi e le sue norme, perché tu viva e ti
moltiplichi e il Signore tuo Dio ti benedica nel paese che tu stai
per entrare a prendere in possesso" (Dt 30, 15-16).E' in
questione non soltanto la terra di Canaan e l'esistenza del popolo
di Israele, ma il mondo di oggi e del futuro e l'esistenza di tutta
l'umanità. Infatti, non è assolutamente possibile che a vita resti
autentica e piena distanziandosi dal bene e il bene, a sua volta, è
legato ai comandamenti del Signore, cioè alla legge della vita. Il
bene da compiere non si sovrappone alla vita come un peso che grava
su di essa, perché la ragione stessa della vita è precisamente il
bene e la vita è costruita solo mediante il compimento del bene. E'
dunque il complesso della legge divina a salvaguardare pienamente la
vita dell'uomo. Ciò spiega come sia difficile mantenersi fedeli al
"non uccidere" quando non vengono osservati gli altri
comandamenti, ai quali questo comandamento è legato. Al di fuori di
questa visione d'insieme, il comandamento finisce per diventare un
semplice obbligo esteriore, di cui presto si vorranno vedere i
limiti e si cercheranno le attenuazioni o le eccezioni. Solo se ci
si apre alla pienezza della verità su Dio, sull'uomo e sulla
storia, la parola "non uccidere" torna a risplendere come
bene per l'uomo in tutte le sue dimensioni e relazioni. In questa
visione possiamo comprendere tutta la verità contenuta nel passo
del libro del Deuteronomio, ripreso da Gesù nella risposta alla
prima tentazione: "L'uomo non vive soltanto di pane, ma di
quanto esce dalla bocca del Signore" (Dt 8,3 cfr. Mt 4,4). E'
ascoltando la Parola del Signore che l'uomo può vivere secondo
dignità e giustizia; è osservando la legge di Dio che l'uomo può
portare frutti di vitae di felicità: "Quanti si attengono ad
essa avranno la vita, quanti l'abbandonano moriranno" (Bar
4,1).
La storia di Israele mostra
quanto sia difficile mantenere la fedeltà alla legge della vita,
che Dio ha inscritto nel cuore degli uomini e ha consegnato sul
Sinai al popolo dell'Alleanza. Di fronte alla ricerca di progetti di
vita alternativi al piano di Dio, sono in particolare i profeti a
richiamare con forza che solo il Signore è l'autentica fonte della
vita. I profeti puntano il dito accusatore su quanti disprezzano la
vita e violano i diritti delle persone. Ma mentre denunciano le
offese alla vita, i profeti si preoccupano soprattutto di suscitare
l'attesa di un nuovo principio di vita, capace di fondere un
rinnovato rapporto con Dio e con i fratelli. Ciò sarà possibile
unicamente grazie al dono di Dio, che purifica e rinnova: "Vi
aspergerò con acqua pura e sarete purificati, io vi purificherò da
tutte le vostre sozzure e da tutti i vostri idoli; vi darò un cuore
nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo" (Ez 36,
25-26). E' Gesù Cristo che farà nuovo il nostro cuore mediante il
suo santo Spirito.